William James

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OPERE

“Principi di Psicologia” (Principles of Psychology),


Da William James in Wikipedia

William James (1842–1910) è stato uno psicologo e filosofo statunitense di origine irlandese.

Il suo “Principi di psicologia” è universalmente considerato come uno dei testi più influenti e rilevanti dell’intera storia della psicologia, e sono stati per decenni uno dei manuali di base nella formazione accademica degli psicologi nordamericani.

William James apporta alla psicologia il pragmatismo e il funzionalismo. Secondo il pragmatismo, le idee e i concetti sono veri solo se consentono all’individuo di operare sulla realtà; l’idea di una psicologia “funzionale” deriva invece dal funzionalismo, ovvero le funzioni adattive per l’organismo-uomo in relazione all’ambiente.

William James si pone in una posizione di forte contrasto con la psicologia tedesca del tempo, sostenendo che non esiste una “sensazione semplice”, ma che la coscienza è un continuo pullulare di oggetti e relazioni.

Una delle concettualizzazioni più significative dei Principles è quella relativa al “flusso di pensiero” (stream of thought), con la quale descrive le caratteristiche del pensiero associandole a quelle della corrente fluviale. Nel X capitolo dei Principles introduce il concetto di Sé empirico, articolato in un Sé materiale (il proprio corpo, i genitori, la casa), un sé sociale – cioè come gli altri mi vedono, un Sé spirituale (il proprio essere interiore, le proprie capacità personali, etc.).

Un’altra teoria di notevole importanza espressa nel Principles è la “Teoria periferica delle emozioni” (periferica in quanto legata al sistema nervoso periferico). Con questa teorizzazione, James capovolge l’idea comune secondo cui alla percezione di uno stimolo segue un’emozione, che è anche accompagnata da manifestazioni a livello somatico; James sostiene al contrario che la manifestazione somatica precede l’emozione, che successivamente viene riconosciuta a livello “cognitivo”.

Il pensiero psicologico e filosofico di William James si distacca dall’empirismo tradizionale proprio per il modo di intendere l’esperienza. L’esperienza, per James, si “autocontiene e non poggia su nulla”. Nell’opera The Will to Believe l’autore definisce l’aspetto prioritario della volontà:

« il dipartimento volitivo della nostra natura domina sia il dipartimento razionale sia il dipartimento sensibile; o, in linguaggio più chiaro, la percezione e il pensiero esistono solo in vista della condotta » (The Will to Believe,p.114)

Ogni azione è reazione al mondo esterno, e gli stati intermedi, come il pensiero, sono solo un luogo ed un momento transitorio che indirizzano verso un’azione. Analogamente ad un altro filosofo della corrente del “pragmatismo” Charles Sanders Peirce, anche James analizza le credenze, soffermandosi sulla loro validità, che è verificabile dalla loro utilità all’azione. Un altro argomento dell’opera Jamesiana è la focalizzazione del lavoro della scienza: la scienza, secondo l’autore, non osserva in modo freddo e passivo i fatti naturali, ma li relaziona fra loro non rispettando l’ordine naturale, semplifica il senso dei fenomeni e li prevede. La teoria principale dell’opera è il divieto al pensiero di bloccare credenze utili ad un’azione efficace nel mondo; la credenza prima di essere considerata tale, deve dimostrarsi importante, viva e spirituale, e infine né vera né falsa. Solo se sono verificate queste condizioni, l’uomo, secondo James, può assumersi il rischio dell’errore di valutazione.

L’autore, più che all’aspetto scientifico, è interessato a quello morale e religioso e quindi sostiene la necessità della “scommessa” della fede (di pascaliana memoria), poiché a priori è deleterio rinunciare ai vantaggi comportanti dalla fede. In una delle sue ultime opere, Introduzione alla filosofia, chiarisce il concetto di “universo progressista”, formato sia da elementi molteplici e indipendenti, indeterminati, liberi e cooperanti, sia da forme monistiche, compatte, determinate, vincolate che devono collaborare tra loro per il successo globale. Nell’opera “A Pluralistic Universe” approfondisce il senso del divino, arrivando alla conclusione della finitezza di Dio, un Dio non più onnipotente, ma avente funzioni, spazi e tempi simili a quelli umani.